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Oliviero Blackman aveva udito la romanza di Beatrice, muto, estatico, incantato: la sua anima di marmo parea liquefarsi sotto un’incognita forza: i suoi occhi torti e sinistri si erano fissati sulla fanciulla, e il difetto organico della sua pupilla era pressochè sparito dietro lo sforzo della sua volontà per rimirar fissamente in volto quella non mortale creatura. E quando il Marchese rivolto gli ebbe quelle parole di disperata tenerezza, Oliviero gli afferrò la mano, e gliela strinse in modo convulsivo, mormorando tra i denti, quasi avesse risposto a sè medesimo, e non mica al Marchese:
’T will do, by God, ’t will do.1
Poscia si accostò alla giovine, si sedè daccanto a lei, è ricominciò a guardarla con concentrata attenzione; esaminò gli occhi di lei, si fece narrar dal Marchese la primitiva cagione di tanta sciagura, e s’immerse quindi in profonda meditazione. Il padre di Beatrice e Geltrude pendevano con orribile ansietà dalle labbra del medico; i loro cuori battevano con estrema violenza, e dico i loro cuori, dappoichè Geltrude estimavasì seconda madre di quella giovinetta, ed immensamente amavala. Soltanto Beatrice parea fredda e indifferente in mezzo a quel tumultuar di speranze e di timore; se pur un senso di dolce pietà non traducevasi sul suo adorato sembiante: era effetto della sua angelica rassegnazione al volere dell’Ente
- ↑ Sarà fatto, perdio, sarà fatto!!