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rato che ella godea pienamente la luce degli occhi.

La donna che in sul poggio stava seduta avea nome Geltrude.

Sul volto de’ ciechi è sparsa ordinariamente quella tristezza ingenerata dall’isolamento in cui li mette la funesta condizione della loro esistenza. Privi del contatto giornaliero dei loro simili, eglino sono costretti a ripiegarsi continuamente sovra sè medesimi; laonde ogni espansione di anima à morta in loro.

Nonpertanto Beatrice aveva un’amica che ella amava, e che toglievala dalla malinconica concentrazione in cui vivea. Il marchese Rionero era troppo avveduto e filosofo per non pensare che la disgraziata figliuola avea bisogno di una compagna; ma questa non doveva esser nè una donna prezzolata, poichè siffatte donne di rado si affezionano alla gente che li nutrica, nè tampoco una donna di uguale condizione di lei, imperocchè i ciechi, in parità di sorte, guardan sempre con invidia i chiaroveggenti, e però difficil cosa si è che a lor si attacchino per amicizia o per amore. Ma era probabile che ad un essere posto nella casa in umile ma non dispregevole condizione Beatrice sarebbesi ravvicinata.

E così, per buona ventura, avvenne. Non sì tosto, per la prima volta, la figlia di Rionero ebbe udita la voce di Geltrude, la estimò di un cuore generoso, eccellente e devoto, e prese a ben volerla tanto che ella medesima ne gioiva e meno trista erane addivenuta. Sembrava a Bea-