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Termino il discorso del palazzo d’Urbino, osservando che qualcheduno dirà forse che chiara testimonianza dell’essere stato Francesco architetto si ha nel suo epitaffio: qvae strvxi vrbini aeqvata palatia coelo ec.; al che io rispondo non essere sicuro che il Vasari istesso, che solo fra gli antichi lo cita, non abbia sbagliato da questo ad altro architetto: che i Sanesi stessi, ai quali più accomodava questo argomento, non furono mai concordi della chiesa nella quale esso fosse già locato: essere cosa nota che la maggior parte di quegli elogi, e fors’anche tutti, sono fattura (quasi direi esercizio scolastico) di letterati che visser dopo; e finalmente che cessa ogni raziocinio appetto a documenti sicuri e negativi (1).


CAPO IV.

Federico lo accomanda alla Signoria di Siena. Ritornato in patria, vi è ingegnere, ed oratore pel Duca. Va un’altra volta in Urbino, e fa alcune rocche pel Prefetto di Roma. Chiamato dai Cortonesi disegna la chiesa del Calcinaio. Rimpatria, ed è fatto ingegnere provvigionato della repubblica.


Francesco domiciliato fuori di patria ambiva però in essa quegli onori che nelle repubbliche d’Italia erano sovrano desiderio e premio dei cittadini: valevasi a questo intento del bel nome di Federigo e del bisogno che correva pe’ Sanesi di obbligarselo: scriveva perciò il Duca a quel comune in questi termini (2):

  1. Scrisse il Romagnoli caldo settatore dell’enciclico sapere del Martini, che nel suo taccuino che è nella biblioteca di Siena, sono segnati molti ornamenti di quelli intagliati nel palazzo di Urbino: io ho veduto gli uni e gli altri, e fui convinto che tra quei disegni e quegl’intagli corre solo quell’analogia che sempre sarà tra opere emananti da un tipo comune, ma identità non v’è.
  2. Biblioteca pubblica di Siena A. III, 8 f. 2. Questa lettera fu stampata dal Della Valle a pag. 77, dal Bottari nelle Pittoriche, e dal Reposati a pag. 263. Nei copialettere della repubblica non trovasi la risposta del Comune.