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questa arte avviene, la cui perfezione nella invenzione consiste, e senza quella male si può le invenzioni delli altri usare.

Dovendo adunque dare notizie in questo libro delle forme che si ricercano alle fortezze, per la ragione preallegata, prima è da considerare alcune parti generali, dipoi discendere alle particolari. Quanto alla prima, dico che tutte le fortezze debbano avere in sè più parti1.

La prima, che in esse sia un pozzo o cisterna sufficiente almeno per il vitto ed altre opere occorrenti, situato nel maschio, ovvero stanza del castellano, sicchè volendo possa tôrla agli altri, e a lui non possa dagli altri esser tolta: e debba avere canali per i quali alle stanze dei soldati possa mandarla.

La seconda, che nella rocca sia un pristino per macinare, e le macinelle per la polvere da bombarda.

La terza, un forno per molte cose occorrenti, oltre al cuocere del pane.

La quarta che abbia il soccorso sicuro, sicchè senza grande difficoltà non possa essere tolto, come nella seconda parte in più modi dimostrarò.

La quinta, che la torre principale del castellano sia più forte ed eminente delle altre, e che possa tutto il resto della fortezza offendere senza essere offeso: sicchè il castellano sia degli altri signore.

La sesta, che se nella stessa fortezza più torri principali per più castellani si facessero, allora l’entrate ed i soccorsi debbano in tal modo essere ordinati, che l’un castellano senza la volontà dell’altro non possa trarre o mettere alcuno nella rocca.

La settima, che la fortezza sia di minore circonferenza che è possibile, salva la debita proporzione.

La ottava, che le mura del circuito siano alte per sè, ma in basso loco situate, scarpate i due terzi dell’altezza, con beccatelli o mutoli, e fra l’uno e l’altro siano i piombatoi2.

La nona, che le torri siano applicate alle mura per sè, o con ale di muri angulati, dell’altezza delle mura, con l’offese per fianco.

  1. Gli schiarimenti a questi precetti sono nella Memoria III.
  2. «Oggi le mura delle fortezze si fanno basse, et e’ fossi larghi e profondi». Lettera del 1509 presso Gaye, II, pag. 3. Memoria III, capo VIII.