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libro v. 251

Nientedimeno a comparazione della bombarda tutti gli altri frivoli sono da essere riputati.

Per resistenza della quale infine al presente tempo, al mio giudizio, non si è trovato edifizio che in breve tempo non potesse essere superato da quella. Questo però all’ignoranza dei passati non è da imputare, tra i quali non dubito essere stati ingegni perspicacissimi: ma reputo due cagioni potissime essere state di questo. La prima, che considerando alcuni l’incredibile impeto della bombarda, gettando per aere tanto pondo con tanta velocità a tanta distanza, come di sè medesimi diffidati secondo la prima apprensione esistimarono a questo impeto essere impossibile resistere, onde non esercitarono il discorso loro per trovare al morbo il suo rimedio. La seconda, che in vero da pochi anni indietro i predetti strumenti non erano di tanta grandezza ed efficacia nè sì ingegnosamente, quanto al presente, operati: ora ogni grossissima bombarda in ogni luogo indifferentemente, sì spesso, e con tanto trattabile modo si mette in opera, che presto ogni muro, ogni torre si mette in ruina1. Colui adunque che a questa offesa trovasse la difensione, più presto divino che umano ingegno doveria essere chiamato.

Per la qual cosa, conoscendo questo peso agli omeri miei essere molto maggiore che a quelli si conviene, non avria io per alcuno modo

    lo prova il Du Theil col paragone di Alberto Magno, Cardano, e G. C. Scaligero. Francesco di Giorgio ne tradusse buona parte (corrispondente alle 7 prime pagine dell’edizione parigina) nel dialetto suo sanese, ed inserilla in calce al cod. membranaceo I col titolo: Inchomincia Illibro ettracttato di fuochi chonposto da Marcho grecho darresistere al inimici si per mare si ancho per terra. Non però volgarizzò egli tutto il libro poichè nel codice I non v’è parola d’immollare stoppe e pannilini nel liquido comburente, il qual precetto trovasi a pag. undici dell’edizione. Vannuccio Biringoccio quando stampò nella sua Pirotecnia (lib. X, 9) parecchi insegnamenti di Marco Greco, pare seguisse il codice già posseduto da Francesco di Giorgio, ch’ei chiama antichissimo e scritto in carta pecora e quasi obliterato, poichè i precetti che ne riporta sono quelli appunto del cod. I citato, nè più, nè meno.

  1. I libri stessi dell’autor nostro rinforzano queste parole. Infatti le artiglierie del cod. I, e de’ codici di macchine esistenti in Torino ed in Siena sono assai più rozze di quelle descritte già nel cod. II (circa i tempi della calata di Carlo VIII in Italia) e qui figurate. Nel codice I al f.° 3, aveva notato bensì che «chi attale macchine riparar potesse divino ingiegnio più che umano dire potersi» non aveva però fatto motto del rapido miglioramento delle artiglierie in Italia poichè non fu che circa il 1480. Chi paragonasse quelle del Santini con queste non direbbe che pochi lustri, ma che almeno un secolo si fosse frapposto.