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palmo e un dito, largo un piè e mezzo: il grado alto un mezzo piè, largo uno e mezzo: l’imbasamento può posare sul grado solo e col sossello. L’atrio ovvero ridotto, e similmente le sale in tre modi si possono con ragione formare, perchè hanno le medesime proporzioni. Il primo, dividasi la sua lunghezza in parti cinque, e tre di queste sia la larghezza. Il secondo, dividasi in tre, e due di quelle sia la larghezza. Il terzo modo è che siano in forma tonda, ovvero circolare perfetta. Ma l’altezza di questi modi è il maggior diametro di quadro perfetto, e del tondo il suo diametro. L’esempio dei due primi: facciasi del quadrangolo un quadrato, di poi si tragghi una linea diagonia dall’uno degli angoli all’altro opposito e più distante, e quella linea è la sua altezza. In altro modo, non migliore di questo, Vitruvio assegna la simmetria delle predette sale e atrii, dicendo che se saranno da trenta in cinquanta piedi lunghi, debbano esser lati la terza parte della lunghezza: se da cinquanta in sessanta la quarta parte, se da sessanta in ottanta due noni, se da ottanta in cento un quinto (1). L’altezza loro, secondo lui, in questo modo afferma essere, cioè che se la larghezza ovvero latitudine fusse da trenta in quaranta piedi il mezzo della lunghezza sia l’altezza, se da quaranta in cinquanta, i due quinti della lunghezza; più oltre non si estende. Il qual modo, salva l’autorità sua a me non piace, sì perchè è imperfetto, dicendo di certa quantità e non di maggiore o minore, sì ancora perchè quando per dieci e quando per venti piedi di lunghezza non varia la proporzione della larghezza, la quale proporzione così debba essere variata come la lunghezza, perchè variata la cagione si varia l’effetto.

I cortili debbano essere di quadro perfetto, o veramente un quadro e terzo, uno e mezzo, ovvero uno e due terzi; in tutti i detti modi stanno proporzionati. Richiedono le colonne intorno con quelle proporzioni che nel libro de’ templi si dimostrerà. Sopra a questo cortile si

    e per comodo pubblico, e per convegno de’ clienti. Bellissimo fra tali murelli era quello del palazzo d’Urbino adorno di bassirilievi inventati (come dissi nella Vita al cap. III) dal nostro Cecco, scolpiti da Ambrogio Barocci.

  1. Vitruvio, lib. VI, cap. 4. Ma qui fa d’uopo che il nostro autore avesse per le mani un codice vitruviano corrottissimo, poichè gli fa dire cose che non trovansi in nessuna edizione.