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libro i. 151

parenza, ma eziandio in bontà, perocchè quello non è da usare se non che per incomodità, onde debba essere dagl’intelligenti tenuto in luogo di supplemento. Un’altra natura di brecciosa terra si trova circa ad Agobbio e Fossombrone, la quale mista con calcina fa ottimi muri1.


CAPO X.

I Legni.

Ultimamente è da considerare delle nature dei legni, dove prima è vedere qual tempo sia più accomodato, acciò siano durabili, per tagliarli. Alcuni antichi2 ebbero opinione che nel mese di novembre e di dicembre, a luna tendente verso la corruzione, sia convenientissimo, acciocchè non si putrefaccino, assegnando questa ragione che in quel tempo l’umore, corruzione dei legni, per l’autunno passato, e per il freddo allora presente, e per l’aspetto della luna, è quasi consumato. Ma io per la medesima ragione indico il tempo congruo a questo essere ottobre, più presto o più tardi, secondo che le piogge sono moltiplicate: perchè la corruzione non procede se non dall’umido mal digesto dal caldo, se non fosse alterazione di continente. Adunque in quel tempo che le piante hanno in sè meno calidità e umidità è conveniente tagliarle, dove essendo l’autunno stagione fredda e secca a comparazione delle altre, massime verso il fine, ne seguita apertamente lo intento.

Secondo la sentenza di Palladio e Plinio3, in prima debbano le piante essere tagliate insino alla midolla, cioè da una banda, e così per alquanto tempo diritte lasciate stare, dove per quella incisione ogni

  1. Il cod. sen. (f.° 10. v.°) legge El sabione da tutte le predicte è differente non solo in substantia et in apparentia: ma etiandio in bontà perochè quello è da mettare in opera quando per difecto di pecunie o delle altre arene, senza quella fare non si potesse. Unde debba essare alli intelligenti tenuto in luogho di supplemento. E così senz’altro, per modo che l’ultimo periodo è una delle tante giunte colle quali l’autore crebbe il codice Magliabechiano.
  2. Vitruvio lib. II. 9. Columella De re rustica XI. 2. 11.
  3. Palladio (Novemb. 15.) Plinio (XVI. 74.). Dalle parole che l’autore cita da Palladio, risulta essersi servito dell’antico suo volgarizzamento.