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tici, ed è seguita dal catalogo analitico delle otto opere che lasciò scritte o figurate, delle quali mi fu dato rinvenirne sparsamente ben trentadue copie.
Principal pregio dell’autore sono le scoperte ed i perfezionamenti circa le mine, i baluardi ed altre parti della fortificazione; e la storia di tali cose trattata in alcuni libri inediti dal Beretta, dallo Scarabelli, dal Velasco, ed in stampati, come quelli del Mandar, del D’Antoni, del Marini, per tacer d’altri, non contenterà a gran pezza i leggitori dell’età nostra. Ebbero questi scrittori (e dico di tutti, sicchè paia destino di questa scienza) un cotal loro modo di scrivere la storia della fortificazione, pel quale fissarono la serie delle scoperte di tale e tale altra parte di essa non come furono, ma come parve loro che avrebbero dovuto succedersi: seguirono il metodo razionale, quasi si trattasse di questioni metafisiche od ideologiche. Ma la storia di una scienza pratica è storia di fatti, e dalla successione di questi dobbiamo ordirla, e per quella della fortificazione non devesi procedere diversamente che per un’altra, nè tralasciare le relazioni degli antichi assedi ed i libri de’ vecchi trattatisti, verbosi sì, ma pur pieni di precetti. A ciò però non badarono gli autori de’ quali ho parlato; essi, conoscitori dell’arte loro, quale all’età in cui vissero l’avevano trovata, nè volgendo lo sguardo addietro, scrissero ad un dipresso come disegnata avrebbero la pianta di una fortezza; e nella serie delle invenzioni, chi legge i libri loro, trova dapprima, a cagion d’esempio, il perimetro bastionato moderno, quindi il rivellino, poi la strada coperta e