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Cristo, di questa specialmente ha voluto la Chiesa, che siano presentate al trono di Dio ogni giorno, e più volte al giorno le sue suppliche, i suoi desiderj, i suoi gemiti, le sue adorazioni, i suoi rendimenti di grazie espressi colle parole di quel santo Re, e Profeta, il quale de’ sentimenti, e degli affetti della medesima fu eletto ad essere per tutti i secoli l’Interprete, e quasi la bocca di lei, come dicono i Padri. Nè ciò, ch’io dico intorno al vantaggio, che a tali anime può recare l’Intelligenza dei salmi, voglio io, che alcuno si immagini, che sia detto, quasi io pensi, che o disconveniente, o inutile sia il salmeggiare per quelli, i quali dei cantici istessi non intendono il senso. Imperocchè anche allora quando la lingua latina era lingua del popolo, ed era nelle bocche di tutti, molte cose i semplici Fedeli recitavano, e cantavano, ne’ salmi, le quali o per la profondità della dottrina, o per la oscurità stessa della latina versione, non potevan essi comprendere se da’ Vescovi, e da’ Sacerdoti non eran loro spiegate, e dichiarate; nè per tutto quello ad alcuno venne mai il pensiero di pronunziare, che astener si dovessero dal recitarle, e cantarle. Imperocchè, come dice S. Agostino: Il popolo credente se talor non intende, crede però essere buona cosa quello, ch’ei canta: (Tract. xxii. in Joan.) onde alle intenzioni della Chiesa lor Madre congiungendo la propria intenzione e colla fede, e coll’amore accompagnando quello, che tali persone in lingua ignota ripetono, non lasceranno di riportare il frutto della loro carità. Ma oltre all’essere l’intelligenza di ciò, che si dice ottimo mezzo, ed ajuto a tener viva l’applicazione dello spirito, e l’affetto del cuore, sapientemente al suo solito notò S. Tommaso, altro essere il frutto del merito, altro il frutto della spirituale consolazione, e refezione (com’ei l’appella), e che di questo secondo frutto non può godere chi non intende, dond’egli conclude, che generalmente parlando, più guadagna chi ora, e intende, che chi orando colla lingua non sa intendere quello, che dice. (In ep. i. Cor. xv.