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mulare la legge: agisci razionalmente1. O più chiaramente: agisci in modo che la tua volontà (qualunque ne sia l’oggetto) possa avere di fronte alla tua coscienza un valore universale e necessario. O infine secondo le stesse parole di Kant (Grundl. 402): agisci in modo che tu possa anche volere che la tua massima debba diventare una legge universale. Kant ha illustrato questa formola con vari esempi (Grundl. 421 ss., pr. V. 27, 44, 69-70): il suicidio, la menzogna, l’egoismo, ecc., sono immorali appunto perchè, tradotti in una massima, non potrebbero venir eretti in legge universale.


3. Ma perchè non potrebbero? Questo è il punto decisivo. È vero che la stessa coscienza morale comune riconosce con sicurezza in ogni caso quali delle sue massime sono e quali non sono convertibili in legge universale: ma la filosofia della morale ha il dovere di mettere in luce quel secreto criterio al quale obbedisce la volontà morale quando con sicura spontaneità decide del valore morale delle azioni, di chiedere donde venga alla vita ordinata secondo la ragione pratica quel caratteristico valore che la coscienza nostra senz’altro le riconosce. Forse questo risiede nella stessa razionalità; la razionalità pratica (moralità) è giustificata per la riduzione sua alla razionalità teoretica, che non ha bisogno di altra giustificazione. Ma come è possibile questo passaggio? E la pura forma della razionalità basta realmente a caratterizzare l’indirizzo etico della vita? O piuttosto la razionalità pratica non è che l’indice della attività diretta verso un fine superiore che solo per questa via si rivela alla coscienza. Ma quale è allora questo fine? E come si può parlare ancora di legge puramente formale?

Questa è precisamente la difficoltà che venne fin da principio opposta a Kant dai suoi avversarî a cominciare dal recensente della Grundlegung nella Allgem. Deutsche Bibliothek2;



  1. Così C. E. Schmid, Versuch einer Moralphilos.2, 1792, 183.
  2. Bd. 66, 2; riprod. nell’Hausius (Materialien zur Gesch. d. crit. Philos., 1793), 222 ss.; cfr. Tittel, Ueber Kants Moralreform, 1786; Zwanzinger, Comm. üb. Kants Kritik d. pr. V., 1794, 40 ss.; Garve, Ueber d. vornehmsten Prinz. d. Sittenlehre, 1798, 385 ss.