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sua unità, quella volontà cioè nella quale possono armonizzarsi e confondersi le volontà buone di tutti i singoli, ma che ha sempre la sua espressione più pura in una piccola minoranza delle anime migliori del tempo. Io andrò anzi più oltre e dirò: come l’umanità ha il suo fine supremo non nella vita morale soltanto che raccoglie i concordi voleri di tutti, ma anche e più in quella vita superiore che questo concorde volere rende possibile e che abbiamo chiamato vita religiosa, così nello stato ideale l’aristocrazia dominante dovrebbe essere non una aristocrazia morale, ma una aristocrazia religiosa. Si intenda però bene questo concetto! Per aristocrazia religiosa si dovrebbe intendere un piccolo numero di anime non soltanto pure da tutti i bassi desideri egoistici ed accese da uno spirito di carità profonda per gli uomini, anzi per tutti gli esseri viventi, ma conscie anche degli alti fini dell’uomo sulla terra ed ansiose soprattutto di rendere possibile al maggior numero di uomini quella intensità e profondità di vita interiore che sole rendono la vita degna di essere vissuta. Questa è una utopia certamente, è il regno dei filosofi, che Platone ha invocato e l’umanità ha vissuto una volta sola, sotto Marco Aurelio, l’imperatore filosofo. L’età nostra pratica e positiva può sorridere della utopia, ma lo spirito pratico e positivo è la malattia di cui muoiono le società da cui si è ritirata la vita interiore.

Ma se la costituzione naturale della società è la costituzione aristocratica, donde nasce quella infrenabile tendenza alla democrazia che sembra essere il carattere distintivo della età nostra? E se la legge della società è il progresso interiore che trasforma le aristocrazie barbariche nelle aristocrazie raffinate dello spirito, donde lo sconvolgimento materiale e morale che minaccia di travolgerci? Ogni aristocrazia in una società è come un organo nuovo in un organismo: si forma in seguito ad esigenze presenti e vitali, risponde a bisogni derivanti dalle condizioni del momento: poi si fissa, diventa stabile e persiste anche quando queste condizioni sono passate, anzi ad esse sono succedute delle condizioni nuove ed opposte, come un organo rudimentale che ostacola la vita ed il progresso. L’aristocrazia barbarica della forza rispondeva nelle origini a condizioni tali per cui l’unità violenta da essa introdotta era la sola unità possibile e quindi la unità che possedeva il più alto diritto an-