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sioni e da preoccupazioni tradizionali non può esimersi dal riconoscere che non si tratta soltanto di un pervertimento di organi o di funzioni; ma d’una corruzione dell’organismo sociale stesso in ciò che ha di più essenziale e di più intimo. La società è minacciata nella sua stessa esistenza dalla rivolta oscura delle forze elementari che sembrano sottrarsi ad ogni costrizione di valori e di ordini ideali, ed il problema pratico immediato non è la riforma di questi o quegli organi, ma resistenza di un ordine, la risurrezione o la morte definitiva di quelle energie ideali in cui risiede la realtà più profonda dell’ordine sociale, e da cui deriva ogni valore alle sue forme ed ai suoi istituti.
Non a torto quindi il filosofo può far proprie anche oggi le amare considerazioni che a proposito dell’inutile chiaroveggenza dei filosofi svolge Platone nel libro VI della Repubblica, là dove ricerca le ragioni per cui la filosofia ha così poca parte nella vita politica ed anzi prevale nei filosofi la tendenza a stare lontani dalla cosa pubblica. La prima causa è, secondo Platone, il tumulto delle ambizioni che tiene lontane dalle pubbliche cose le persone intelligenti e rette, le quali vedono che l’opera loro sarebbe vana. I ciechi ambiziosi che si contendono il potere trattano i pochi veggenti come gente inutile, perduta in vane contemplazioni. Platone paragona sotto questo rispetto lo stato ad una nave dove i marinai ignoranti tengono sequestrato il pilota: il padrone della nave, il buon Demos, è un uomo più grande e più robusto che il resto dell’equipaggio, ma un po’ sordo, dalla vista corta e poco pratico dell’arte di navigare: i marinai si disputano fra loro la direzione della nave, si mettono intorno al padrone, lo scongiurano, lo inebbriano o lo addormentano: dopo di che si impadroniscono del bastimento, si gettano stille provviste, mangiano e bevono e dirigono la nave come dei pazzi potrebbero fare. È da meravigliarsi che essi considerino come un abile marinaio solo chi può aiutarli con la persuasione o con la violenza a mantenersi alla direzione della nave e sprezzino come un perditempo il vero pilota che osserva il cielo e ricerca per mezzo degli astri il vero corso della nave? — La seconda causa è il discredito che proviene da coloro i quali si dicono filosofi senza esserlo. Poche sono le nature veramente filosofiche ed anche di queste le più si corrompono. Il pervertimento dell’opinione pubblica, l’esempio del corso ordinario delle cose