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ma dell’amore dell’idea: si odia l’astrazione pallida e scolorita sorta lungi dal contatto fecondo delle realtà viventi perchè si anela al possesso dell’idea viva di cui il concetto non è che un simbolo. Non rendetevi quindi simili a quelli che Kant chiama i Ciclopi della scienza: i quali sono capaci di portare sulle loro spalle un peso immenso di dottrina, il carico di cento cammelli, ma hanno un occhio solo, quello della loro specialità scientifica. Fate che l’opera vostra sia sempre penetrata dalla coscienza della sua funzione nel tutto e dello spirito che il tutto anima: senza di ciò essa non è se non opera servile che si seppellisce da sè stessa nella sua vanità.

E siano presenti sempre alla coscienza vostra anche la dignità e l’altezza di questa vita. Non asservitela alle meschine preoccupazioni della vita inferiore, non togliete ad essa le ragioni più profonde della sua esistenza col ridurla ad una funzione professionale di derisoria importanza. Non asservitela alle piccole vanità ed alle piccole ambizioni personali: non trasformate l’amore delle cose spirituali in quell’odioso snobismo intellettuale che è pompa vana di una intellettualità superficiale e frivola senz’anima e senza vita. E sopra tutte le cose mantenete in voi alto e vivo il senso dei doveri di dignità e di fierezza che essa vi impone; da ogni più spregiata umiltà di vita e di uffici levate con orgoglio lo sguardo alla vostra patria spirituale; associate in silenzio l’opera vostra a quella dei più grandi spiriti nella costituzione di quel regno invisibile che si leva come un ordine imperituro, sopra il mondo e le sue grandezze di un giorno.

Non è per questo necessario credere che debba veramente venire un tempo in cui questo regno trionfi sulle oscure potenze inferiori, e si realizzi sulla terra quella città dell’intelligenza che da Platone in poi è stato il sogno di tante nobili menti: non solo non è desiderabile, ma non è nemmeno concepibile che questo alto ideale della coscienza religiosa si incarni un giorno sotto le condizioni dell’esistenza sensibile in una Gerusalemme celeste, in un regno perfetto della ragione. È un destino, tragico e salutare ad un tempo, di tutte le azioni umane che esse non raggiungano mai pienamente il fine desiderato e che invece si costituisca per esse in una specie di ordine provvidenziale qualche cosa di primitivamente non sperato nè vo-