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accanto alla quale altre occupazioni a cui si davano dotti professori di università — come p. es. a Iena vendere birra agli studenti — possono parere onorevoli. Il professore di poesia a Wittenberga Federico Taubmann (+ 1613) cumulava il suo ufficio con quello di giullare alla corte di Sassonia. E non altrimenti doveva considerare i suoi professori dell’università di Francoforte sull’Oder Federico Guglielmo I di Prussia che li costrinse un giorno a disputare sulla cattedra con un suo buffone sul tema: «I dotti sono pazzi loquaci»: uno solo di essi, il teologo Giovanni Giacomo Moser, ebbe il coraggio di tenersi lontano dall’indegna farsa. Queste sono miserie dei tempi passati, è vero: ma anche l’oggi non presenta dei sintomi molto lieti. Anche oggidì, dalla maggioranza delle persone colte la vita della intelligenza continua ad essere considerata come un semplice abbellimento della vita, come un complemento accessorio delle attività umane dirette alla conservazione ed al perfezionamento della vita materiale. Nè è raro sentir enunciare come il più alto elogio dell’arte o della scienza, che esse servono ad ornare la vita: come se tutto ciò che hanno fatto e sofferto i grandi spiriti non avesse altro fine che di rendere più gradevoli i giorni alla turba che vegeta intorno a loro. Ed è anche penoso spesso notare con quale servilità adulatoria molti di quelli medesimi, che pure alla vita dello spirito hanno dedicato tutte le forze loro, accolgono l’atto di coloro i quali, chiari per nascita o per dovizie o per alti uffici, volgono un momento uno sguardo di protezione verso l’arte o la scienza oppure degnano scendere essi stessi nell’arringo: come se l’arte servile di soddisfare ai bisogni materiali della moltitudine ricevesse qualche nobiltà dai larghissimi compensi o quella di pascere e di mungere il povero gregge umano fosse veramente l’occupazione più degna e più alta, dalla quale fosse lecito guardare quasi con disdegno sulle opere nobilissime dello spirito.

Io non mi sono così a lungo arrestato, o Signori, sopra questo contrasto fra le esigenze ideali e lo stato reale della vita dell’intelligenza se non per mettere in più reciso rilievo i doveri virili che a noi ed a voi sopratutto, o giovani egregi, nascono da questa condizione di cose. Se è volontà nostra che l’intelligenza abbia nella vita il posto a cui ha diritto e si diffonda anche nella società la convinzione che la vita dell’intelligenza