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di considerare la totalità della vita come un puro scambio di energie fisico-chimiche senza un principio animatore che susciti dalla materia una forma vivente ed imprima a tutto il processo evolutivo un movimento di ascensione perenne. E mi si conceda per ultimo di ricordare anche la risurrezione recente della tanto sprezzata filosofia della natura: G. Ostwald ha richiamato il nome in onore dando all’esposizione della sua concezione energetica il titolo di «Lezioni sulla Filosofia della natura»; e nell’attuale fioritura di neofichtiani, di neohegeliani e di neoromantici già da più d’una parte gli sguardi si volgono al creatore della Filosofia della natura, a Federico Schelling. La natura torna quindi ad essere per noi ciò che era per la speculazione idealistica del principio del secolo passato: una coscienza dormiente, una preistoria dello spirito, una vita occulta che noi apprendiamo come un complesso di morte forme solo perchè non penetriamo nell’intimo essere suo. La scienza che crede di poter rinserrare la vita della natura nelle sue formule e nelle sue leggi non penetra in realtà al di là della sua veste esteriore: essa rassomiglia a quegli eruditi che passano la vita a catalogar le morte reliquie d’una civiltà spenta senza mai riviverne lo spirito, senza mai penetrare fino a quell’anima che fu il secreto della sua vita.

A questo rinnovato concetto della natura corrisponde anche un nuovo concetto dello spirito, che sovverte tutti i rapporti che il naturalismo aveva creduto di poter stabilire fra la realtà spirituale e la realtà naturale. Tutti gli sforzi della filosofia naturalistica diretti a subordinare l’attività morale alle leggi ed alle esigenze della conservazione organica servono oramai per noi a mettere in chiaro un solo punto: e cioè l’impossibilità assoluta di riuscire ad un’esplicazione qualunque della vita morale finchè si erige a centro e fondamento della vita il semplice egoismo, sia individuale sia collettivo. E le stesse ricerche sociologiche e le ricerche di psicologia collettiva, fondate sul presupposto di una concezione prettamente naturalistica della vita morale e sociale, sono riuscite a questa conclusione: che l’individuo è, come individuo, un’astrazione ed è in realtà inseparabile dalla collettività di cui è un prodotto: e così che al disopra della psiche individuale si libra, reale, vivente e concreta, una psiche collettiva che impone a noi, come volontà morali, le sue esigenze