hanno in noi: le sensazioni di colore, per esempio, hanno una ben più scarsa influenza e probabilmente sono più povere che da noi: e in ogni modo essi apprendono i colori in modo diverso da noi1. Di più essi sono probabilmente sensibili a stimoli, che per noi non esistono: le formiche, p. es., secondo Lubbock e Forel, sono sensibili ai raggi ultravioletti, che sono per noi invisibili2. Ed anche le forme degli oggetti quanto devono apparire diverse a sensi organizzati così diversamente! Come appariscono p. es. gli oggetti agli occhi faccettati degli insetti? Non lo sappiamo e non lo sapremo mai. Ed a che servono gli occhi semplici, che li accompagnano? Un zoologo nel 1912 annoverava già undici ipotesi diverse: il che vuol dire che non sappiamo nulla affatto. Si pensi ancora al misterioso senso di orientamento, che dirige molti animali; si pensi all’olfatto degli insetti, che risiede nelle loro antenne e che, esercitandosi a contatto degli oggetti odoranti e potendo per la mobilità delle antenne costituire delle relazioni spaziali (Forel), deve dar loro una visione spaziale delle cose, in cui l’olfatto ha senza dubbio una parte essenziale! Se riflettiamo a tutto questo, comprenderemo facilmente che il mondo, in cui vivono gli animali, non è il nostro: ogni specie animale, come ha la sua anima, ha il suo mondo. Quanto più scendiamo nella scala animale, il nostro mondo ricco di suoni, di forme e di colori si impoverisce e si trasforma in un mondo di odori e di resistenze meccaniche: finché in basso, negli esseri infimi, non è forse più che una successione di stimoli, da cui è scomparso anche il carattere spaziale. Noi li vediamo nel nostro mondo e collochiamo il loro mondo nel nostro come una variazione o una riduzione del nostro mondo, del vero mondo, in cui essi e noi viviamo. Ma è questo il vero mondo? Anche noi uomini abbiamo ciascuno il nostro mondo: e i mondi nostri si dispongono nella stessa gradazione, in cui sono le in-
- ↑ v. Hess, Die Entwicklung vom Lichtsinn und Farbensinn im Tierreiche, 1914.
- ↑ Lubbock, Fourmìs, abeilles et guêpes, 1883, 1, p. 164-181. «È probabile che i raggi ultravioletti producono nelle formiche la sensazione d’un colore distinto (del quale non possiamo farci alcuna idea): colore tanto differente dagli altri quanto il rosso dal giallo o il verde dal violetto» (p. 181).