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introdurre una comunione di natura, che annulla la distinzione recisa prima stabilita. Lasciando da parte del resto queste distinzioni che hanno tutte un vizio d’origine nella posizione d’una sostanza materiale per sè stante, è indiscutibile che l’anima dell’animale, comunque concepita, è un principio formale, una realtà: ora come può questa realtà tornare nel nulla? E come si può pensare che Dio produca continuamente un numero infinito di questi principii per precipitarli subito dopo nel nulla, sebbene essi abbiano qualche cosa di ben più nobile che la materia, la quale non perde mai l’essere suo? Questo si connette anche con una difficoltà dell’ordine morale. Dio avrebbe creato degli essere capaci di sentire e di conoscere, senza costringerli a conoscerlo ed amarlo: egli li avrebbe creati per vivere perennemente nello stato di peccato — che è il non conoscere Dio e l’arrestarsi nelle creature come in un ultimo fine. Ciò appare anche più grave, se formuliamo questa difficoltà così come era stata proposta dai cartesiani. Se le bestie sentono, come si giustifica il loro soffrire? Non vi è nulla che gridi così altamente contro la bontà e la giustizia divina come il dolore animale. Le ragioni, con cui si tenta giustificarlo, non hanno nessun valore: sono sofismi ridicoli e crudeli. Il dolore che innumerevoli poveri esseri innocenti soffrono sulla terra senza speranza e senza ragione è tale iniquità, che dovrebbe oscurare anche la beatitudine eterna del cielo.
A questa critica si risponde con una pretesa riduzione all’assurdo: dunque vorrete, si dice, fare dei bruti tanti esseri immortali? Mi sia lecito opporre a questa un’altra domanda: è forse meno assurdo il fare di tutti gli uomini altrettanti spiriti immortali? Tanto è difficile il credere che tutti i bruti siano essere immortali, quanto l’ammettere che lo siano tutti gli uomini. Questo solo possiamo con sicurezza sapere: che in tutti gli esseri, negli uomini come negli animali, vi è qualche cosa di eterno. Ma l’immortalità, la vita nell’eterno, non è il privilegio di nessuna natura, nemmeno dell’umana: essa è al più, se l’alta speranza non mentisce, una lunga e faticosa conquista, alla quale pochi giungono, ma alla quale tutti gli esseri tendono attraverso esistenze e dolori innumerevoli.