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nanzi ad un complesso di fatti, i quali, comunque interpretati, attestano esservi nella psiche animale facoltà spirituali latenti, che l’uomo può svolgere con la sua influenza, e rivelano una comunione ed un’affinità della coscienza animale con la nostra, finora insospettate: fin dove quest’influenza e questa comunione possano giungere, nessuno certamente può dire.

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Gli animali partecipano dunque dell’intelligenza e della ragione, ossia della natura umana: sono esseri affini a noi e il presentimento pietoso non ci inganna quando nei loro occhi leggiamo l’unità profonda che ad essi ci lega. La questione della natura e del destino della psiche animale è naturalmente un semplice corollario dei problemi che abbiamo precedentemente trattato. Anche su questo punto ci troviamo in presenza di due indirizzi. In genere i filosofi, che concedono alla psiche animale un principio di ragione, concedono che essa sia una sostanza partecipe in qualche modo dell’immortalità: così hanno pensato p. es. Scoto Erigena, Lorenzo Valla, Paracelso, Enrico Moro, il medico Daniele Sennert. Nello stesso senso inclina anche Leibniz. Secondo Leibniz tutti gli esseri sono costituiti da monadi: ciò che diciamo l’anima non è che la monade centrale più elevata in coscienza. Ora le monadi sono indistruttibili: quindi anche le monadi che costituiscono le anime dei bruti non periscono per la morte, ma trapassano in altre esistenze. Veramente secondo Leibniz non vi è trasmigrazione: l’anima non è mai nuda d’un corpo: essa conserva sempre anche nella morte una specie di corpuscolo, un’organizzazione invisibile, che si ricostruisce l’involucro grossolano, pur trasformandosi anch’essa insensibilmente attraverso i suoi passaggi. Di più si noti che le monadi animali sono indistruttibili, non immortali: l’immortalità, che è anche persistenza della personalità e della memoria, è propria solo dell’uomo (Teod. § 89). Anzi le stesse anime umane sarebbero state in origine, prima della comparsa dell’uomo, anime di bruti, rimaste in questo stato fino al tempo della generazione dell’uomo cui dovevano appartenere: la creazione dell’anima umana (che Leibniz chiama transcreazione) sarebbe in realtà solo l’elevazione d’un’anima sensitiva al grado di