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la sua complessità, può subire variazioni od esigere il concorso di altre attività. L’abitudine di fumare, p. es., per quanto violenta ed irresistibile sia, non può costituire un riflesso, perchè lo stimolo, il bisogno di fumare, non può essere soddisfatto con un atto semplice: è necessario una serie di atti (p. es. l’acquistare il sigaro, etc.) che esigono il concorso della coscienza. Quindi l’abitudine, per quanto meccanizzata, può sempre esigere il concorso della volontà: come quando, p. es., un morfinomane per soddisfare la sua passione ricorre ad astuzie od a mezzi complicati.

Ora l’istinto è un’abitudine fortemente meccanizzata ed ereditaria nella specie. Per il primo carattere esso partecipa dell’atto riflesso, di cui ha l’imperiosa necessità: è una reazione inevitabile. D’altra parte l’istinto non è una reazione semplice, come il riflesso, ma una serie di atti; che perciò, come l’abitudine, implica sempre ancora in parte il concorso della coscienza. Quindi ha generalmente per punto di partenza una rappresentazione chiara: e per raggiungere i suoi fini si vale della volontà e dell’intelligenza. Di più l’istinto non solo è un’abitudine fortemente meccanizzata, ma è un’abitudine ereditaria nella specie. Quindi, mentre nell’abitudine individuale il fine suo è generalmente ancora trasparente, qui l’individuo non ha più chiara notizia del fine vero ed ultimo, a cui l’abitudine mira.

Ciò che rende massimamente meraviglioso l’istinto è appunto questa sua direzione finale indipendente dall’esperienza personale. L’abitudine conferisce un’abilità che spesso ci meraviglia: ma sappiamo che è risultato di esperienze e di ripetizioni dello stesso atto. Invece nell’istinto abbiamo un agire che non dipende dall’esperienza personale. Se, dopo aver accarezzato un cane, mettiamo la mano in un cestino, dove sono dei gattini ancora ciechi, questi drizzano il pelo e soffiano in modo comico; dove hanno conosciuto il cane? Nell’esperienza della specie, in cui è ereditaria la reazione istintiva a quel certo odore. Le esperienze accumulate della specie possono dar luogo talora ad una saggezza, ad una complicazione così razionale di atti, che appare veramente inesplicabile. Si pensi, p. es., alla costruzione dei nidi, alla migrazione periodica degli uccelli, che è stata con ragione chiamata il più grande mistero della vita animale. Noi sappiamo di certe vespe, che nutrono le loro larve