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tenzionalità: e mostra chiaramente che non ha alcun valore. Alla stessa conclusione giunge un altro eccellente conoscitore della vita delle api, H. v. Buttel-Reepen, in occasione del loro preteso cromotropismo: le api non possono essere concepite come delle macchine a riflessi: la loro condotta implica sempre, almeno in parte, una direzione volontaria1. Un altro osservatore ha esaminato dallo stesso punto di vista il volo degli insetti intorno alla luce delle lampade: ed è giunto alla conclusione che non obbediscono mai ad un tropismo nel senso voluto dal Loeb. Anche il Jennings, uno dei migliori conoscitori della vita dei microrganismi, è giunto al risultato che l’attività loro, quando venga osservata non nei riflessi momentanei, ma in una serie continuata d’una certa estensione, non può affatto venir esplicata secondo lo schema dei tropismi, ma implica sempre un tentativo, un fine, un adattamento, anzi una certa memoria, una esperienza e perciò una coscienza: e con il Jennings è d’accordo la grande maggioranza degli osservatori. La resistenza che alcuni cultori della psicologia animale (eccellenti fisiologi del resto) oppongono all’interpretazione psicologica2 non dà veramente altra impressione che di essere il risultato d’una scarsa cultura filosofica e psicologica e d’una prevenzione professionale invincibile.
Certo ben sappiamo anche noi che non abbiamo una conoscenza obbiettiva della coscienza animale: ma quando nell’attitudine e negli atti c’incontriamo in un complesso che presenta la più stretta analogia con la nostra condotta, noi siamo perfettamente autorizzati ad assumere, sia pure con tutte le cautele e riserve possibili, che essi rivelano una vita interiore analoga alla nostra. Ora chiunque abbia osservato da vicino il mondo degli animali inferiori od abbia seguito le esperienze di acuti e diligenti osservatori, come il Fabre, il Forel, il Wasmann, come potrà seriamente dubitare di trovarsi dinanzi a degli esseri coscienti? Non soltanto l’attività, ma gli stessi atteggiamenti, i ge-