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calmente ancora: vi è una psiche animale? La domanda ha l’aspetto d’un paradosso: e tuttavia non è tale. Nessuno vorrà credere che noi conosciamo direttamente ed obbiettivamente la psiche animale: ciascuno di noi conosce solo la propria coscienza. E, negli altri uomini come negli altri animali, argomenta solo la presenza di stati analoghi dalle manifestazioni esteriori. L’induzione è così rapida ed istintiva, che noi non ci avvediamo di farla: ma se riflettiamo, dobbiamo riconoscere che degli animali conosciamo solo le manifestazioni esteriori: che poi interpretiamo come segni di dolore, di paura, di affetto, ecc. È legittima questa interpretazione? Il pensiero comune dice di sì: ma fino dall’antichità non sono mancati dei filosofi a sostenere il contrario. Plutarco nel suo opuscolo sull’intelligenza d’animali (cap. III) dice che secondo alcuni naturalisti gli animali non provano in realtà sentimento alcuno: essi sono come delle macchine che hanno l’apparenza esteriore di sentire, ma che in realtà non sentono. Questa è stata, come è ben noto, anche una teoria della scuola cartesiana. Cartesio, avendo ridotto i principii sostanziali della realtà a due, lo spirito — sostanza immateriale, pensante, razionale, immortale e la materia, sostanza estesa, capace unicamente di quiete e di movimento, ed avendo soppresso tutti i principii intermediarii, non può ammettere nell’animale altro che un sistema di movimenti meccanici: non c’è nè anima vegetativa, nè forza vitale: l’unione del corpo e dell’anima e il loro accordo sono per Cartesio una specie di miracolo continuo. Negli animali non era possibile ammettere un principio senziente diverso dalla materia senza farne degli esseri razionali ed immortali: essendo ciò per Cartesio un assurdo, egli pensa gli animali come pure macchine. Supponiamo che un artefice fosse così abile da costruire una macchina perfettamente simile nel suo comportarsi ad una mosca: essa sarebbe una vera mosca. Di tutte le abilità degli animali non ve n’è alcuna che supponga necessariamente la coscienza: uno solo sarebbe il segno caratteristico della coscienza, il linguaggio: per persuadermi che un animale sente e pensa (dice un cartesiano) bisognerebbe che fosse esso stesso a dirmelo. A queste ragioni metafisiche si aggiungono anche, per Descartes, ragioni morali. Credere che gli animali sentono è dotarli d’un’anima simile alla nostra: ora se si pensa che l’anima degli animali sia mortale, che