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condizionato non può contenere quindi in sè la ragione del mondo empirico (W., I, 228-9). Essendo inderivabile, il mondo empirico è per conseguenza filosoficamente inesplicabile. Anche quando noi conoscessimo perfettamente gli oggetti empirici e le loro leggi, noi non comprenderemmo ancora perchè esistano: perchè la loro natura è anormale, perchè secondo la legge del nostro intelletto, essi non dovrebbero esistere. Bisogna ben distinguere tra «conoscibile» e «comprensibile». L’incondizionato, che è in sè inconoscibile, è invece la sola cosa comprensibile, perchè è la sola cosa che non ha bisogno di ragione, che anzi deve essere considerata come il principio di ogni esplicazione (reale od apparente). La realtà empirica invece è conoscibile, constatabile, ma non esplicabile: il suo carattere problematico procede appunto da ciò che vi è in essa qualche cosa che non può assolutamente ricevere esplicazione alcuna.

L’inesplicabilità del mondo condanna a priori tutte quelle dottrine, che, pur ponendo l’assoluto come una unità, hanno tentato di derivare da quest’unità incondizionata il condizionato. Esse si distinguono in due gruppi, secondochè pongono l’unità incondizionata come immanente (panteismo) o come trascendente (teismo). Il panteismo può ancora venir inteso in due sensi, secondo che identifica l’uno incondizionato con gli oggetti diversi e molteplici (panteismo naturalistico) o intende per l’uno assoluto l’unità interiore degli oggetti, il vincolo reale che sta a fondamento delle loro molteplicità (panteismo metafisico). La prima tesi annulla realmente il concetto dell’uno incondizionato: se l’incondizionato fosse il mondo stesso nella sua molteplicità, che cosa potrebbe significare ancora questo concetto di «incondizionato»? L’esperienza immediata sarebbe la metafisica definitiva ed ogni ricerca d’un assoluto sarebbe destituita di senso. La seconda tesi invece identifica l’assoluto con quel principio della connessione interiore dei fenomeni, che abbiamo veduto essere come uno sforzo della natura verso il divino. Ora nessuna confusione è più falsa ed assurda di questa: perchè anche questo vincolo interiore è un oggetto empirico («interiore» vuol dire soltanto «reale, ma non dato direttamente alla percezione»): esso non è, secondo lo Spir, in fondo altro che l’unità fittizia data del substrato naturale della coscienza, la quale rende possibili le unificazioni egualmente fittizie della rappre-