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debbono conquistare il successo esteriore; meno avventurato di Schopenhauer non vide nemmeno l’aurora del nuovo giorno e fece scrivere sulla sua tomba le desolate parole della Scrittura: «La luce volle penetrare le tenebre, ma le tenebre non raccolsero».

Questo doloroso destino che amareggiò gli ultimi anni del nobilissimo pensatore è dovuto in parte alle circostanze esteriori della sua vita — Spir non appartenne all’insegnamento universitario e visse modestamente fuori del mondo filosofico ufficiale — in parte all’indole sua fiera e ritrosa che non ammetteva compromessi, che disprezzava ogni forma di vanità personale, ma sovratutto al carattere della dottrina, la quale, precorrendo i tempi, mirava con semplicità e con ferma sicurezza, sotto una forma profondamente personale, ad un rinnovamento speculativo-religioso di tutta la filosofia. La sua dottrina non era, come è stata sovente presentata, una semplice eco di dottrine herbartiane, nè un richiamo al dualismo kantiano dell’intelligibile e del sensibile: pur riconnettendosi strettamente ad Herbart, pel tramite sopratutto del Drobisch, che professava a Lipsia verso il 1861, quando lo Spir era venuto, ventiquattrenne, a frequentare la università, non meno che a Kant, che Spir aveva imparato giovanissimo a conoscere, e ad Hume, il filosofo più spesso citato da Spir, quello al quale egli stesso dichiarava di essere debitore più che ad ogni altro, anzi per alcuni aspetti anche a Schopenhauer ed a Spinoza, essa non continuava direttamente nessuna tradizione, non si appoggiava a nessuna scuola: essa era un tentativo originale, ma isolato, di assurgere ad una nuova sintesi filosofica, tentativo che per di più contrastava troppo recisamente con le tendenze naturalistiche, empiristiche ed agnostiche del tempo per poter sperare di trovare qualche favore presso i contemporanei.

Soltanto l’età nostra ha cominciato a rendergli, in parte, giustizia. Certo egli è ancor lungi dall’occupare nella storia della filosofia della seconda metà del XIX secolo il postò al quale egli ha diritto, accanto a Lotze, Fechner ed Hartmann, tra i solitarii continuatori dell’indirizzo speculativo in un’età infeconda, infatuata di scienza e di naturalismo; ed anche l’opera sua potrà, a giudizio definitivo, venir forse apprezzata da un punto di vista diverso da quello ond’egli, al pari di tanti altri grandi filo-