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sono le ultime lettere d’un profugo (1847), romanzo in prosa sul genere del Jacopo Ortis e due poemetti, il Prometeo e il Pellegrino in Italia.

Però anche queste opere letterarie hanno già un contenuto filosofico: esse sono ispirate ad un sentimento di romantica tristezza, ad un atteggiamento pessimistico che qua e là, di fronte al problema delle cose, si risolve in un’invocazione alla pace del pensiero. «O Natura, Natura, a che ne sproni sì crudelmente e di progenie in progenie ne affatichi, predatori o preda, sempre i più miserabili fra gli animali? A che, operosa, rinnovelli, trasfigurando, le menzogne della speranza? Questa Dea, tanto fallace sulla terra, sarà veritiera oltre il sepolcro? Esistenza migliore o riposo di sonno ineccitabile sarà meta di sì doloroso pellegrinaggio? O forsennato! Atomo perduto nello spazio, stilla d’un’intelligenza immensurabile, presumi abbracciare e intendere i dominii della suprema governatrice? Chiuditi nel tuo nulla, dolora in silenzio e dal dolore cogli la sapienza, che sola forse genera la potenza redentrice».

Il periodo più propriamente filosofico, che si inizia verso il 1860, non è in fondo, per lo spirito e per l’indirizzo, che uno svolgimento del periodo poetico: perchè la poesia fu nel Ceretti il germe e l’infanzia della filosofia (D’Ercole, p. 72). Al 1860 risale la prima delle sue opere filosofiche — l’Idea circa la genesi e la natura della forza; nel 1864 comincia la stampa del suo Paselogices specimen, un’opera colossale in latino, di 11.000 pagine, di cui solo i primi tre volumi vennero stampati (in cinquanta esemplari) dal 1860 al 1867. D’allora in poi nella filosofia Ceretti trovò il compito della sua vita: la sua curiosità inquieta e vagabonda, gli studi svariatissimi, i viaggi, le meditazioni poetiche erano state soltanto i tentativi d’uno spirito, che ignorava ancora se stesso e che adesso nel pensiero e nella contemplazione filosofica trova il suo appagamento definitivo.

L’Italia filosofica (specialmente al nord) era divisa allora dalla controversia fra rosminiani e giobertiani: ma nel regno di Napoli si era già iniziato quel movimento hegeliano, che era destinato ad avere più tardi tanta fortuna. Come si spiega la preferenza che Ceretti ebbe per Hegel? Che Ceretti non abbia piegato verso lo spiritualismo di Rosmini e di Gioberti si capisce: questi erano filosofi più o meno asserviti alla teologia