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nuiamo a farne l’esperienza anche oggi con quel forzato connubio di. storia e di filosofia, del quale la filosofia deve dolersi, ma anche la storia, io credo, non ha molto da rallegrarsi.

L’impossibilità di far coincidere il divenire reale delle cose con quel processo dialettico, in cui consiste, secondo Hegel, la realtà assoluta del mondo, si rivela del resto anche sotto un altro aspetto per noi molto più interessante. Il divenire reale è progredire, è sforzo verso un fine; senza di ciò non sarebbe possibile distinzione di bene e di male, di vero e di falso. Ma se, come Hegel vuole, la realtà è l’assoluta manifestazione dello spirito e tutto in essa è razionale e perfetto, donde la distinzione di valore? Bene e male, vero e falso sono soltanto più distinzioni interne, che scompaiono dal punto di vista dell’assoluto.

Questa conseguenza irreligiosa della dottrina hegeliana non era sfuggita ai teologi contemporanei: quindi la costante preoccupazione di Hegel di rispondere a queste critiche, di ribattere queste accuse. Ed in questa difesa dobbiamo ammirare l’abilità sua nel ritorcere le accuse contro i suoi avversarii — come nello sfuggire sempre il punto essenziale della questione. La sua difesa si riduce sempre ad un argomento di procedura, a negare cioè la competenza dei suoi giudici: ai quali, non senza qualche arroganza, nega anche la capacità di comprendere la sua dottrina. Ma quando sembra proporsi di entrare nel cuore della questione e noi attendiamo con curiosità la soluzione del difficile assunto, allora svolta a difendere il panteismo di Spinoza o della Bhagavadgita, che sono tutt’altra cosa.

E che in realtà nell’intimo del suo pensiero Hegel inclinasse verso una concezione prettamente naturalistica, a confondere cioè tutte le distinzioni di bene e di male nel corso inesorabile d’un divenire universale, appare chiaramente da più d’un indizio. Già appare nella sua speculazione giovanile dalla critica della morale cristiana e della morale kantiana, come quelle che accentuano il contrasto morale fra la volontà e la legge; mentre l’ideale suo è la concezione greca della vita con la sua serenità, con la sua dedizione tranquilla al fato. E nella decima tesi della sua Dissertazione del 1801 dice: Principio della morale è la riverenza del fato. Con questa tendenza ad adagiarsi nel semplice riconoscimento di ciò che è si con-