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suprema (Grundl. 432): in ogni caso l’imperativo morale si converte nella necessità d’agire per un certo interesse e sono tolte così con la autonomia della ragione la moralità e la libertà (Grundl. 432-3, 441, 444; pr. V. 23 ss., 64, 109 e spec. 146 ss.). «Quando un oggetto od il nostro rapporto con esso costituisce il fondamento ultimo dell’atto volontario, questo non appartiene più a sè stesso. A questo riguardo stanno sulla stessa linea Dio e la bellezza dei corpi terreni, la scienza e lo champagne: sono tutti valori esterni all’anima appartenenti ad un ordine reale od ideale nel quale stanno per sè, non per volontà nostra, e che perciò tolgono a questa, appena la muovono, la libertà»1. L’azione morale diventa allora uno strumento del fine a cui è diretta; allora non abbiamo più una formula d’obbligazione morale, bensì di abilità problematica (Untersuch. 299, Grundl. 441).


21. Il concetto d’un’azione formale dell’intelligibile è quindi ben diverso da quello dell’azione che potrebbe esercitare sulla volontà razionale la conoscenza dell’intelligibile nella sua essenza e nelle sue leggi: conoscenza che sarebbe incompatibile con la moralità (pr. V. 146-8). A buon diritto ogni morale non formale è da Kant accomunata nella condanna con la morale empirica: l’argomento di Kant contro la morale materiale, se non è irreprensibile nella forma, è nella sostanza inconfutabile. Morale materiale è, nel concetto di Kant, ogni morale che fa precedere al concetto di legge quello di oggetto, di «bene». «Dire che una morale materiale è possibile è dire che si può scoprire il fine al quale tende per l’essenza sua la natura umana e la via che permetterebbe di giungere o che almeno ci avvicinerebbe ad esso: è dire quindi che si può col ragionare determinare la natura del bene e concludere il dovere». Ora una morale materiale non è possibile, secondo Kant, per ciò che la legge morale deve essere universale e necessaria, mentre la volontà nostra non può essere legata ad un oggetto che per via della sensibilità, per il piacere ed il dolore, i quali sono fatti accidentali e subbiettivi, noti solo a posteriori e perciò incapaci di dare origine ad una legge universale e necessaria (pr. V. 21



  1. Simmel, Kant, 82.