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d'una legge naturale. — Ora l’ordine formale della realtà sensibile risulta da due ordini di leggi, leggi logiche e teleologiche: questa dottrina leibniziana è uno dei presupposti taciti e costanti del pensiero kantiano 1. A questa duplice esigenza debbono perciò rispondere le volontà morali: esse debbono poter venire erette in leggi senza contraddizione logica e senza che la volontà universale, della quale entrano a far parte, sia in disaccordo con se stessa. La prima esigenza dà origine ai doveri stretti, la seconda ai doveri meritorii ( Grundl. 402-3, 424). Di qui le due risposte che Kant dà negli esempi da lui addotti (Grundl. 321 ss.). Nel caso dei primi mostra che io non posso volere che la massima, p. es., di mentire valga come legge, perchè il mentire eretto in legge, negherebbe logicamente l’atto della manifestazione del pensiero per mezzo della parola (e quindi il mentire stesso). Nel caso dei secondi mostra che la volontà verrebbe in fondo a contraddire ai suoi fini più essenziali: contraddizione che viene alla luce anche sotto la forma della contraddizione dell’egoismo con se stesso. La considerazione delle conseguenze, tanto rimproverata a Kant come un’inesplicabile ricorso all’egoismo, non è se non la verificazione esteriore della impossibilità della universalizzazione della massima; perchè quando un’azione contraddice alla tendenza generica alla felicità che, come sappiamo, la legge morale ha per compito di regolare, non d’abolire (pr. V. 73, 78-79, 93; Relig. 50 ss.), a maggior ragione può credersi che sarà in contraddizione con quelle volontà provvidenziali dal punto di vista del tutto, che sono le leggi teleologiche. Questa verificazione esteriore è perfettamente legittima se si ricorda che l’ordine delle attività sensibili che si possono conciliare in una volontà universale non è per sè l’ordine morale, ma il tipo, l’immagine simbolica dell’ordine intelligibile, destinata a servire di criterio pratico. Onde anche già «la felicità e le conseguenze utili in numero infinito d’una volontà determinata dall’amor di sè, se questa volontà si ponesse nel medesimo tempo come legge universale della natura, sarebbero senza dubbio adattissime a servir di tipo del bene morale senza tuttavia

  1. Per la finalità si v. p. es. Grundl. 395-6 e la nota del DELBOS, o. c., 90.