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la necessità di completare la legge formale per mezzo di finalità materiali. Così il Trendelenburg e lo Zeller1, che correggono Kant con Aristotele così il Paulsen2, che oppone alla morale formalistica di Kant una morale teleologica e vorrebbe dal bene obbiettivo riconosciuto dalla ragione — e cioè la conservazione ed il perfezionamento della vita spirituale collettiva — derivare la legge. Così infine anche il Cantoni3, per il quale il fine naturale è costituito dall’unione di tutti gli esseri intelligenti nella produzione e nel godimento dei valori spirituali più alti; principio che, dice il Cantoni, è per sè obbligatorio, perchè nessuno ci chiederà perchè dobbiamo in stretta unione coi nostri simili concorrere al progresso del sapere, dell’arte, ecc.; e che d’altra parte è sempre accessibile alla volontà buona, perchè con la sola disposizione del nostro volere noi lo realizziamo, almeno per quanto sta in noi.
Appena occorre rilevare che questa soluzione è un’esplicita rinunzia al principio kantiano che esclude rigorosamente ogni fondazione empirica della morale. Per quanto degno di considerazione sia l’ideale d’una comunione ideale degli spiriti, esso è pur sempre un bene, un oggetto concreto, che non può costituire una legge per lo spirito e non può muovere la volontà che per il tramite di considerazioni personali e subbiettive: esso non potrà quindi mai dare origine ad una legge a priori. Di più il godimento ed il possesso dei beni spirituali sono condizionati da troppe circostanze materiali perchè possano considerarsi come un bene interiore che è dato immediatamente alla volontà buona nella volontà stessa: non è necessario essere pessimisti per riconoscere quanta distanza interceda, anche nelle circostanze più favorevoli, tra la volontà buona diretta ai più puri beni spirituali e la realizzazione sua. Così non solo è tolto il carattere formale della legge, ma è tolto anche il contenuto più essenziale e più profondo di tutta l’etica kantiana.