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Per la ragione pratica l’uomo soddisfa così all’esigenza suprema della sua natura, che è l’elevazione al soprasensibile. Anche questa partecipazione puramente pratica implica senza dubbio un contatto teoretico con l’intelligibile. Una conoscenza vera e propria dell’intelligibile non è possibile all’uomo, perchè le idee pure della ragione sono semplici unità formali alle quali manca l’intuizione corrispondente: ma per l’azione non è necessario che la realtà, nella quale essa si svolge, ci sia data nel vero essere suo: basta che ci sia data nei suoi rapporti con noi per mezzo d’una conoscenza analogica (Proleg. 357-8). Questa conoscenza pratica, analogica, soggettivamente sicura, sebbene oggettivamente incompleta e conscia della sua insufficienza, è da Kant chiamata, in opposizione al sapere dell’esperienza», «fede» (pr. V. 4, 121, 126, 133, 142 ss.); fede che diremo razionale o filosofica per distinguerla dalla fede comune o fede storica; perchè mentre questa non è veramente che l’adesione ad un sapere imperfetto, la fede che accompagna la moralità non si riferisce al campo che è oggetto del sapere e perciò, come non potrebbe per l’accedere di nuove esperienze diventar sapere, così, essendo sottratta all’azione di ogni futura esperienza, è immutabile e ferma tanto quanto il sapere (Was heisst sich im Denken orientiren, ed. Vorl., 156-7).


5. Così ci sta dinanzi nella sua totalità e nella sua unità la vita dello spirito, che è essenzialmente attività formatrice diretta verso l’intelligibile. Ciò che in questo riguardo caratterizza essenzialmente la dottrina kantiana è la teoria del primato della ragion pratica (pr. V. 119 ss.). Il conoscere ed il volerei erano per la metafisica anteriore due attività parallele: la realtà sensibile e la soprasensibile erano in pari misura l’oggetto dell’una e dell’altra. Per Kant invece la conoscenza vera e propria è limitata alla sfera dell’esperienza. L’attività formale del conoscere ha raggiunto il suo fine con la costituzione dell’esperienza: la quale è poi la condizione, la materia della vita morale. Al di là dell’esperienza la ragion teoretica non ha più alcuna applicazione positiva: anche come facoltà delle idee e come critica della ragione, la funzione sua è essenzialmente pratica (pr. V. 54-55). Di più la stessa conoscenza intellettiva è in ultima analisi volontà, azione, perchè ogni interesse in fondo è