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sonetti amorosi | 87 |
xxiv
nella fuga d’un uccello
Ésca porgea di propria mano un giorno
a vezzoso usignuol Lilla cortese,
quando per l’uscio aperto il volo ei prese,
ed a l’aria natia fece ritorno.
Con amaro sospir, che l’aure intorno
tutte d’amore e di pietate accese,
tardi e ’ndarno la destra al vento stese,
scolorando le rose al viso adorno.
— Ove, a rischio di morte, in man nemica
ne vai — dicea con lagrimose note, —
e fuggi chi t’apprezza e ti nutrica? —
L’augello udilla, e ’n spaziose rote
l’ali rivolse a la prigione antica:
tanto di bella donna il pianto pote.
xxv
la sua donna in carrozza
Non pari a quel, che del mio Sole intorno
per lo cielo d’Amor gira la luce,
portò giá mai vittorioso duce
carro superbo in trionfal ritorno;
né tale è quel ch’a mezza notte adorno
d’aurati fregi e candidi riluce;
né quel ch’a noi da l’oriente adduce
di chiari lampi incoronato il giorno.
Fortunati destrier, voi che traete
tanta beltá; rote beate e belle,
che co’ vostr’orbi i miei desir volgete;
tra voi loco avess’io, ch’a le fiammelle
acceso il cor, di cui sí dolce ardete,
spererei, novo Elia, girne a le stelle!