Per ch’io m’adiro e dico: — O di me stesso
parte vile insensata,
chi piú giá mai t’aviverá, se ’nvano
sí vezzosa ed amica
piú volte s’affatica
di farti risentir la bella mano?
Certo di sasso sei, ma come, ahi lasso!
come sí molle sei, se sei di sasso? —
Ed ecco uscir fuor de le rive estreme
de l’indica pendice
rapido il Sol, da la sua nunzia scorto.
Ella, ch’esser veduta ha scorno e teme,
sospirando mi dice:
— Addio, ben rivedrenne, e fia di corto:
a che tanto affannarte? —
Poi mi bacia e si parte.
Io resto e dico: — Invan per me se’ sorto,
invido Sol, ché questa notte oscura
era a me piú che ’l dí lucida e pura! —
Canzon, notturna sei,
notturni i furti miei:
non uscir, prego, al sol, fuggi la luce:
oblio piú tosto eterno, ombra profonda
le mie vergogne e i tuoi difetti asconda.