da l’argentato giro
di ceruleo splendor l’onda tremante;
e, fatte a mio favor piú che mai belle,
spettatrici d’amor veggio le stelle.
Giunto al mio ben, chi potria dir gli spessi,
i lunghi, i molli baci?
i sospir tronchi? i languidi lamenti?
Chi può contar degli amorosi amplessi
le catene tenaci?
gli accesi sguardi? gl’interrotti accenti?
gli atti dolci e furtivi?
gli atti dolci e lascivi?
Tanti sono i diletti, e sí possenti,
che dal cor di per se stessa si divide
l’anima, e innanzi tempo amor m’uccide.
Lentando allor, ma non sciogliendo il laccio,
con la prima dolcezza
temprato alquanto il fervido desio,
languidamente l’un a l’altro in braccio
ce ne stiam vaneggiando, ed ella ed io.
Mentr’io pian pian col manco
a lei stringo il bel fianco,
e con l’altro altra parte ascosa spio,
ella d’ambe le sue, peso non grave,
fa quasi al collo mio giogo soave.
Io narro a lei, favoleggiando intanto,
quando primier mi prese,
e l’ora e ’l punto e la maniera e ’l loco:
poi dico: — E da quel dí ch’amor cotanto
degli occhi tuoi m’accese,
sprezzai (sí dolce n’arsi) ogni altro foco.
Questi il mio ’ncendio fûro,
e per questi ti giuro
che d’ogni altra bellezza mi cal poco.
Crocale il ti può dir; Crocale, figlia
d’Alceo, bench’ella bruna e tu vermiglia.