O specchi del mio cor, volti amorosi,
ov’io me stessa vagheggiar solea,
o Soli di quest’occhi, occhi pietosi,
in cui mille dolcezze ognor bevea:
o labbra, onde pur or baci vezzosi,
misti fra dolci risi, amor traea:
ahi qual selvaggio, ahi qual tartareo mostro
ha sparso il sangue mio nel sangue vostro?
Dato mi fusse almen toccar distinti
que’ membri, oimè, che piú toccando infrango;
lassa, ch’io pur miseramente estinti
piango i miei figli, e non so quale io piango:
perché d’atro pallor sieti sí tinti,
che dubbiosa e confusa io ne rimango,
e l’effigie gentil del volto mio,
cancellata dal sangue, in voi vegg’io.
Se’ tu colui, ch’io generai primiero?
Giá non è questo il capo tuo reciso:
chi fu che nel tuo busto, ahi scambio fiero!
trasportato e commesso ha l’altrui viso?
Figli, miseri figli, or che piú spero?
sepolto è ne’ vostr’occhi ogni mio riso! —
Qui le cresce la doglia e manca il pianto:
secca han gli occhi la vena al pianger tanto;
e sviene, e il volto oscura, e la favella
perde, e fiato non spira, occhio non move.
Sanguigna intanto e torbida procella
da mille spade in altre parte piove:
ben fu sotto re tale e ’n tale stella
felice chi non nacque, o nacque altrove;
felice chi non nacque, o nato, poi,
die’ fine, il primo giorno, ai giorni suoi!