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versi morali e sacri 385


     Pur (tanto di vigor le dá pietate!)
la mistura crudel volge sossopra,
e va cercando le reliquie amate,
ove la varia uccision le copra;
e le lacere membra insanguinate,
reggendo amor la mano a sí fier’opra,
per onorarle dell’essequie estreme,
sparse, raguna, e le commette insieme.

     E col pianto le lava, e dice: — Ahi lassa,
lassa! che fia, che i miei soavi pegni,
la cui vista infelice il cor mi passa,
di riunir, di resarcir m’ingegni?
Altro non veggio ch’una orribil massa
di frammenti avanzati agli altrui sdegni;
altro ch’un mucchio di sanguigni e monchi
squarciati brani e dissipati tronchi.

     Giá solev’io, non è gran tempo avanti,
trattando di mia man serici stami,
nel lin, che vi copria, poveri infanti,
con sottil ago ordir fregi e ricami;
or da ferro crudel ne’ vostri manti,
quali, ahi quali vegg’io lavori infami!
Fiera man vi trapunse, ed ecco in vui
ricucir mi convien gli squarci altrui.

     Son queste, oimè, le forme altere e vaghe,
che da la genitrice in prima aveste?
Oh stelle, del mio mal sempre presaghe,
le mie misere carni, oimè, son queste?
Queste son pur! tra ’l sangue e tra le piaghe
riconosco pur io l’amate teste:
dunque, cosí mi ritornate innanzi,
delle viscere mie miseri avanzi?

G. B. Marino, Poesie varie. 25