La mal aventurosa e mal accorta,
cui dá senso l’amor, vita il dolore,
altro non sa che, sbigottita e smorta,
piover per gli occhi amaramente il core;
ma l’avanza il vagito, e si fa scorta
del cieco ferro, de l’ostil furore:
segue la voce, e lá donde deriva,
per la traccia del suon la spada arriva.
Non cosí contr’il nibbio empio e maligno
la domestica augella i polli cova,
come colei dal barbaro sanguigno
il malcauto schermisce, e non le giova:
però che ’l fier, che petto ha di macigno,
brandisce il brando e ne la strozza il trova;
giac’ei nel sangue orribilmente involto,
tra i fraterni cadaveri sepolto.
Qual fu Niobe a veder, quando dal cielo
vide scoccar le rapide saette,
onde in un giorno i duo signor di Delo
orba la fêr di sette vite e sette,
che, visto alfin cader l’ultimo telo,
al dolente spettacolo ristette,
e ’l corpo per dolor stupido e lasso
venne gelida selce, immobil sasso:
tal fra la stirpe sua, mentre moriva,
restò la tapinella instupidita,
di color, di calor, di senso priva,
senza moto, senz’alma e senza vita.
Parea morta non giá, ma men che viva
di bianco marmo imagine scolpita:
di bianco marmo, se non quanto i figli
fatti i candidi membri avean vermigli.