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versi morali e sacri 383


     Iva il terzo trescando a salto a salto
sovra un finto destrier di fragil canna;
miser, né sa qual repentino assalto
a morte crudelissima il condanna:
ecco quel cor d’adamantino smalto,
pria con man lo ghermisce e poi lo scanna;
ne lo spazzo l’abbatte, e quivi il lassa
a giostrar con la Morte, e ride e passa.

     Del bel drappel reliquie assai leggiadre
avanzavano ancora il quinto e ’l quarto,
coppia, che fu de la dolente madre
(madre piú non dirò) gemino parto.
L’un rotando sen gía fra quelle squadre,
mobil paleo per entro il sangue sparto;
e, tutto intento al fanciullesco gioco,
al periglio vicin pensava poco.

     Contro costui la destra e l’armi stese
rapidamente il feritor villano;
ma la piaga mortal colá non scese
dov’ei mirò, se ben non scese invano;
ché, frapostosi a caso, in sé la prese
non aspettata il suo vicin germano.
Diss’egli allor: — La tua follia s’incolpi,
non la mia man, se vai furando i colpi! —

     Sotto la gonna allor colei si cela
l’ultimo, che de’ cinque ancor le resta.
Ma che? del proprio scampo ei si querela,
e col proprio vagir si manifesta,
e la frode pietosa altrui rivela,
ch’ascoso il tien, de la materna vesta;
semplicetto ch’egli è, né sa tacere,
perché non ha imparato anco a temere.