Arpin, chi vide mai con dotto stile
da la tua man la Caritá dipinta,
che di vaghi bambin schiera gentile
abbia nel seno e ne le braccia avinta:
cotal parea leggiadra donna umíle,
scompigliata il bel crin, scalza e discinta;
e intorno le fiorian teneri e molli
de la progenie sua cinque rampolli.
Benché del regio editto il fier tenore
fuorché ’nfanti da latte altri non cheggia,
n’avea costei di etá poco maggiore,
parte condotti alla spietata reggia,
sí perché stretti di fraterno amore
l’un con l’altro trattiensi e pargoleggia,
sí perché ella, ove mova o fermi il piede,
disgiunti ancor mal volontier gli vede.
Stavasi il primo in picciola tabella
le note ad imparar de la prim’arte,
discepol novo, e de l’ebrea favella
leggea le righe in lei vergate e sparte:
quando la testa ecco gli è tronca, e quella
gli cade in sen su l’innocenti carte,
e l’estremo suo fato a lettre vive
con vermigli caratteri vi scrive.
Move colui ver’ l’altro il passo orrendo,
poiché ’l capo ha de l’un sciolto dal busto:
vedelo lá, ch’un pomo ei sta rodendo,
pomo mortale, ahi troppo amaro al gusto!
Drizza alle fauci, ond’inghiottia ridendo
l’ésca dolce e matura, il ferro ingiusto;
e gli fa con un colpo acerbo e forte,
trangugiando il pugnal, morder la morte.