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versi morali e sacri 381


     Misera, ma che pro? fugge il periglio,
non campa giá, che ’n novo mal trabocca:
tal augel del falcon sente l’artiglio,
mentre sottrarsi al can tenta di bocca.
Ecco un altro crudel, che al primo figlio,
che il sen le sugge, un dardo aventa e scocca,
e passa oltre le labra, onde la poppa
giá di latte, or di sangue è fatta coppa.

     Giunge intanto piú presto, e la minaccia
con piú forti armi il barbaro omicida;
vede l’altro bambin, che tra le braccia
stretto le giace, e la motteggia e grida:
— Poiché con tanto amor teco s’allaccia,
ragion non è ch’io te da lui divida:
ma, perché non si sciolga il caro nodo
fia gran pietá s’io nel tuo sen l’inchiodo! —

     Quel meschinel, qual timidetta damma
la qual ricovri alle sue siepi ombrose,
dentro il solco di neve in cui di fiamma
vivacissimi semi Amor ripose,
smarrito allor fra l’una e l’altra mamma,
da la faccia del ferro il volto ascose,
e tanto ebbe di senno acerbo ingegno,
che temer seppe morte e fuggir sdegno:

     quantunque invan, che ’n lui la punta orrenda
drizza il fellon, ma falle il colpo ed erra;
crudele error, ma piú crudele emenda,
che lui traffigge e lei traffitta atterra.
Egli le braccia aperte avien che stenda,
ella in giú cade, e nel cader l’afferra;
onde, immobile tronco e senza voce,
al figliuol crocifisso è fatta croce.