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380 parte ottava


     Ma che? contro furor che val bellezza?
Strins’egli il ferro, e nel fanciul l’affisse:
quei, come suole ad uom che l’accarezza,
ridendo all’assassin: — Babbo! — gli disse;
e, spinto pur da pueril vaghezza,
la man stese al coltel, che lo traffisse,
credendo dono, imaginando argento
l’acciar, che era di morte empio stromento.

     Ei non mirollo o non curollo, e dritto
lá donde il riso usciva, il ferro mise;
ma, come vide il poverel trafitto
languir morendo in sí dolenti guise,
fatto quasi pietoso angue d’Egitto,
si dolse, e lacrimonne, ei che l’uccise:
ma, sedate le lagrime e ’l cordoglio,
tosto poi la pietá cesse a l’orgoglio.

     Volgesi all’altra, e fra suo cor discorre
qual de’ dui figli, e di qual colpo ei fieda.
Che dee far, lassa lei, chi la soccorre?
dove sará, ch’aita invan non chieda?
Fuggesi intorno, e quei la segue, e corre
quasi ingordo mastin dietro alla preda;
ella, vagante in questa parte e ’n quella,
sembra da lupo insidiata agnella.

     Con quell’affetto, che, del patrio regno
l’alte fiamme fuggendo, il buon troiano
il vecchio genitore e ’l picciol pegno
reggea col tergo a un punto e con la mano,
fatta de’ cari suoi schermo e sostegno,
per involargli al predator villano,
quinci e quindi traea (pietoso impaccio,
suavissima soma!) i figli in braccio.