Chiunque in grembo a giovinetta amata
talor si stringe e ’n compagnia s’accoppia,
quegli il piacer veracemente abbraccia.
Ella, come colei che a questo è nata,
emula nel diletto i nodi addoppia,
e di piacerti sol par che le piaccia.
Teco lieto s’allaccia;
se la baci, ribacia, arde e si strugge.
Fertile poi di dolce prole e bella
in lei si rinovella;
né temer puoi che, qual balen che fugge,
o come a mezzo april torbida bruma,
il tuo tesor t’involi invida piuma.
Ma tu pur, temerario, il ciel disprezzi,
e ’n quell’albergo forse, ove pendenti
stanno immagini sante e sacre cere,
vergognose lusinghe, infami vezzi
trattar non temi? e trar presumi e tenti
d’illecita union laido piacere?
Oh mostruose e fiere
voglie piú che infernali, ebbro appetito,
non desio ma furore! E te che sai
ciò che soffri e che fai,
di mal sí grave essecutor ardito,
non assorbe l’abisso? e quelle indegne
fiamme d’amor fiamma del ciel non spegne?
Canzon, meco rimanti;
non t’oda il vento e non ti veda il sole:
ché di sí scelerato atto e nefando,
anco i biasmi cantando,
si vergognan le muse a far parole:
la man trema e l’ingegno e manca l’arte,
arrossiscon gli inchiostri, ardon le carte.