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versi morali e sacri 355

e, mentre viver nega
sí come nacque, e maschio esser ricusa,
cangiarsi pur con novo modo orrendo
in femina volendo,
né pure uomo riman, ma di confusa
natura ufficio in sé doppio ritiene,
e di due qualitá mostro diviene.
     S’egli è ver che d’amor come di luce
primi fonti son gli occhi, e da lor nasce
quel soave desir che in noi si cria,
e sol del dolce raggio, il qual produce
l’amato aspetto, si nodrisce e pasce,
verace amante, e nulla piú desia,
qual esser può che sia
dolcezza ove si nega il guardo e ’l riso?
ove quel ben che t’innamora e piace,
quasi avaro e fugace,
ti volge il tergo e ti nasconde il viso?
Atto da scolorar la faccia al giorno,
da far infamia stessa arder di scorno!
     Ma da sí sozzo oggetto e sí profano,
di vista indegna oltre ogni creder brutto,
ben la fronte a ragion torcer conviensi;
e, se tanto l’aborre il guardo umano,
che fará Quel, che da le stelle il tutto
vede ed osserva e non soggiace a’ sensi?
Forsennato, e non pensi
che ’l tuo custode allor spirto ti mira:
spirto puro innocente, occhio gentile,
che cosa immonda e vile
mirar non sa senza vergogna ed ira?
Dritto ben fia che, pien di giusto zelo,
la tua cura abbandoni e torni in cielo.
     Deh! poiché sí de la licenzia il freno
a l’umana lascivia il senso ha sciolto,
ch’oltre il lecito e ’l dritto erra e trascorre,