|
epitalami e panegirici |
329 |
giovano l’insolenze.
Sovra il candido collo,
sotto il tenero seno,
per l’anche dilicate,
e ’ntorno a l’altre parti
piú basse e piú riposte
con salto repentino
stendi la man lasciva;
la qual, serpendo poi
qual curiosa spia,
cupida esploratrice
del fonte d’Onestade,
cerchi il piú chiuso varco
del bastion d’Onore,
e ’l piú commodo sito
lá dove piantar possa
ne la ròcca guardata
l’amoroso vessillo.
Qui tanti e tanti aggiungi
a le baciate rose
accumulati baci,
quanti il notturno cielo
spiega lucidi fuochi,
quanti fiori e quant’api
nutrisce Imetto ed Ibla.
Non ti manchino ancora
le malizie fra l’armi:
accenti lusinghieri,
parolette dimesse,
anguidezze profonde,
tenerezze soavi,
tremiti sospirosi,
gemiti affettuosi,
quai gli compone e forma
Zefiro tra le fronde,
colomba innamorata