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epitalami e panegirici 323

Squassar bramo ghirlande e vibrar faci,
e la notte passar tutta in trastulli;
né questa mia siringa
fia poco atto stromento
da far dolce risposta a l’altrui canto. —
     Imeneo cosí disse, e tacque a pena,
ch’ella in gelido fonte e cristallino
tutta ignuda tuffossi. A l’aurea chioma
rende l’usata legge, a la bellezza
l’ornamento e ’l decoro: indi s’ammanta
d’un bel serico drappo,
che di lampi eritrei tutto sfavilla.
Presti sono ai servigi
i volanti valletti;
giá s’appresta e guernisce
tutto di fiori edificato il carro;
olezzano di fiori il giogo e l’asse,
di fior le rote e i raggi,
e son fioriti i freni,
dal cui tenero morso avinte e strette,
due colombe gemelle
fanno a l’aureo timon purpurea biga.
Concorron d’ogn’intorno
augei canori e bianchi.
Quei che l’Atesi ameno
addolciscon col canto,
quei che del Mincio altèro
inteneriscon l’aure,
quanti il Lario superbo
n’ascolta in riva a l’onde,
quanti il Meandro obliquo
ne pasce in su le sponde,
de la rauca Padusa,
del patrio Po l’arene,
e del natio Benaco
abbandonâro, impoverîro i cigni.