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epitalami e panegirici 321

e del candido piè la viva neve
dorato foco ammanta. Allor ridente
la bella dea con questo dir l’assale:
     — Fanciullo, e ’nfino a quando
con la sampogna a risvegliar le selve?
Pur sempre, sempre, ai dolci studi inteso,
non sará mai che lassi
gli amati versi? e de’ materni doni
non ti vedrò per tempo unqua satollo?
O troppo troppo de le muse amico,
e troppo pronto ad emular le cure
de la musica madre,
che vai teco, soletto,
sul mezzodí canzoneggiando a l’ombra?
Vienne, e palesa a noi di tanta gioia
l’alta cagione omai. Qual nova pompa
di nozze oggi s’appresta?
qual vergine si dota? E non tacerne
la sua patria e ’l legnaggio. A te non deve
di ciò nulla celarsi,
se sol col tuo favor liban gli sposi
nel letto marital le prime notti.
     — Certo — risponde, — o dea, di tua dimora
io stupiva pur dianzi, e come fossi
di tal congiungimento
sí tardi consapevole e compagna.
Non di vil sangue oscuro
è la stirpe ch’io canto: illustri e chiare
e per fasce e per opre
due gran famiglie un santo nodo accoppia.
E qual sí strania ed erma
a procelle spumanti
latra nel mar vermiglio isola o scoglio,
qual de l’arsa Etiopia aspro deserto,
qual de l’algente Scizia alpestre monte,
qual regione estrema ed a la Fama

G. B. Marino, Poesie varie. 21