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306 | parte sesta |
xlvii
nel ritorno di terra santa
a Crescenzio Crescenzi
Allude alla Gerusalemme distrutta.
Vedesti il monte, ove per noi morío,
Crescenzio, il puro agnel; baciasti il sasso,
ch’albergo die’ caliginoso e basso
al velo incorrottibile di Dio.
Tempo ben fôra al tuo terren natio
da volger pronto omai l’animo e ’l passo,
ché, ’n consolando il genitor giá lasso,
non sarai certo peregrin men pio.
Del Giordan, che da lui t’invola e parte,
si bagna il Tebro, e Roma tua t’aspetta,
che di sacre memorie ha pur gran parte.
Vienne, e, se pur Gerusalem t’alletta,
lei non sol rivedrai ne le mie carte,
ma de l’eccesso suo l’alta vendetta.
xlviii
il canto di adriana basile
Tu, che i miei brevi sonni, allor che ’l core
sopito sí, non riposato giace,
rompi cantando, e del notturno orrore
l’alto silenzio e la tranquilla pace;
novo del mar sei certo augel verace,
che con sí misurate arti canore
sai l’onda e l’aria e ’l ciel, quando piú tace,
soavemente innebriar d’amore.
Stranio veleno il cor mi rode e sugge,
pasce l’aure di dolce e me d’amaro,
m’empie di gioia e poi m’ancide e strugge.
Al tremolar del dolce canto e caro
l’anima trema, a le sue fughe fugge,
da’ suoi sospiri a sospirare imparo.