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300 | parte sesta |
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al marchese di corigliano delli monti
nel ritorno di lui da Terrasanta.
Giá del Nilo le foci e de l’Eufrate,
de l’Adria immenso e de l’Egeo spumante,
e del vermiglio mar l’onda sonante,
signor, varcasti in giovinetta etate.
E Canopo vedesti e l’odorate
Arabie e Cipro e Menfi e Creta, e quante
da’ confini del ciel vagheggia Atlante
meraviglie famose, opre onorate.
Poi lá tra’ monti ebrei, ch’a nostro scorno
l’empio tiranno oriental possiede,
adorasti di Dio l’umil soggiorno.
Or qua rivolgi a’ cari amici il piede;
ed oh con quanta invidia il tuo ritorno,
peregrino felice, il mondo vede!
xxxvi
allo stesso
pregando di sollevarlo in certe sue oppressioni.
Qui, dove ogni valor Fortuna opprime,
né giá mai spunta a l’altrui notti aurora,
fra gli abissi del duol sepolto ancora,
signor, men vivo in parti oscure ed ime.
Tu de’ tuoi monti onor, di cui la cima
sí vivo Sol di vera gloria indora,
e ’n ciel la fronte, ove virtú s’onora,
cinto d’eterno verde ergi sublime;
non sostener che ’ngiuriosa morte
di me trionfi, e mia ragion languente
vinta soggiaccia a dispietata sorte.
Sí dirá poscia: — Oh gran bontá! — la gente.
— Questi cortese e pio, non men che forte,
sottrasse a duro strazio alma innocente. —