Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
298 | parte sesta |
xxxi
al principe di conca
grande ammiraglio di Napoli
perché lo conduca con sé sull’armata.
Or che, per riportar nobil trofeo
e per l’Asia spogliar de’ fregi suoi,
quasi nov’Argo di famosi eroi,
s’arma piú d’un Alcide e d’un Teseo;
me fra sí degno stuol per l’ampio Egeo,
signor, menate: e mi vedrete voi,
se s’udran fra le trombe i versi poi,
fatto a novo Iason novello Orfeo.
Saprò di schermo invece usar quell’arte
che ferir sa la Morte, e potrò l’armi
trattar d’Apollo almen, se non di Marte.
Vosco vedrete al ciel, volando, alzarmi;
spiegherem voi le ’nsegne ed io le carte,
fabro voi di vittorie ed io di carmi.
xxxii
allo stesso
perché voglia menar seco una dama sull’armata.
Se bramate, signor, la palma intera,
ch’a voi de’ suoi rubelli il ciel destina,
vosco ne venga, a lor danno e ruina,
questa invitta d’Amor nova guerrera.
La bella egizzia ancor la ’nsegna altèra
seguí d’Antonio in Azzio, in Salamina;
e la feroce vergine latina
di Turno armata accompagnò la schiera.
Con voi, dunque, costei s’armi ed accampi,
perché nel fier nemico a prova scocchi
quinci Marte, indi Amor saette e lampi.
Sí vedrem poi, pur ch’un sol guardo il tocchi,
chi da la vostra man verrá che scampi,
fulminato cader da’ suoi begli occhi.