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296 | parte sesta |
xxvii
per le nozze di lui con Maria de’ Medici.
(1600)
L’asta onorata e la temuta spada,
invittissimo re, lascia e riposa;
ponga giú l’armi omai la man famosa,
ch’ampia tra’ ferri altrui s’apre la strada.
Sol teco armato, Amor trattando vada
fra notturni imenei guerra amorosa;
sí che bella nemica, ignuda sposa,
dolcemente traffitta in sen ti cada.
Sia campo il letto, e l’ostro ond’egli è cinto,
ardito ma pacifico guerrero,
lascia d’ostro sanguigno asperso e tinto.
Vattene poi, del tuo trionfo altèro,
da sí begli occhi piú felice vinto,
che vincitor de l’universo intero.
xxviii
a virginio orsino, duca di bracciano
che partiva per l’Ungheria alla guerra contro i turchi.
Vanne, e tu de la turba empia de’ mori
e del tartareo stuol che, d’armi cinto,
la Pannonia omai tutta ha corso e vinto,
generoso garzon, frena i furori.
Tosto vedrem di nobili sudori
te la fronte real sparso e dipinto,
lá sovra l’Istro del lor sangue tinto
con l’elmo ber tra bellicosi ardori.
Giá scorgo, giá, tremar, fuggir l’averse
barbare insegne, e le nemiche genti
gir dal tuo sguardo sol rotte e disperse.
Sento, giá sento, a piè de’ figli spenti,
l’egizie madri e mauritane e perse
le tue glorie cantar ne’ lor lamenti.