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286 parte sesta

vii

al sepolcro del sannazaro

     Ecco il monte, ecco il sasso, ecco lo speco,
che ’l pescator, che giá solea nel canto
girsen sí presso al gran pastor di Manto,
presso ancor ne la tomba accoglie seco.
     Or l’urna sacra adorna e spargi meco,
Craton, fior da la man, dagli occhi pianto,
che del Tebro e de l’Arno il pregio e ’l vanto
in quest’antro risplende oscuro e cieco.
     Pon’ mente come (ahi stelle avare e crude!)
piagne pietoso il mar, l’aura sospira,
lá dove ’l marmo aventuroso il chiude.
     Fan nido i cigni entro la dolce lira,
e ’ntorno al cener muto, a l’ossa ignude
stuol di meste sirene ancor s’aggira.



viii

     Contese, audace; alfin, cesse l’alloro
il cantor frigio al gran pastor d’Anfriso;
e, ’n pena de l’ardir, rauco e reciso
mormora il canto ancor fiume canoro.
     Stiglian, ma, qualor tu la rosa e l’oro
canti d’un biondo crine e d’un bel viso,
rendesi il vincitor vinto e conquiso,
de le musiche dèe giudice il coro.
     Quinci adivien che la giá ninfa, or pianta,
ch’al suo pregar, su le tessaliche onde
fuggitiva mostrossi e disdegnosa;
     or, da piú dolce stil fatta pietosa,
te segue ed ama, e di piú nobil fronde
tesser fregio al tuo crin lieta si vanta.