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284 | parte sesta |
iii
per la morte di angelo costanzo
(1591)
Dunque, morto è il Costanzo? Or chi piú vostro
fie duce, o sacri ingegni? e chi v’addita
d’onor la via, se, col suo piè partita,
Virtú sen riede al sempiterno chiostro?
Voi, ch’a dolervi, o muse, al dolor nostro
commun lamento e proprio danno invita,
spargete, estinto lui che vi die’ vita,
per gli occhi pianto e per le penne inchiostro.
E tu tante tue glorie, in breve speco
rinchiuse in un con l’onorata salma,
sospira, o mondo, impoverito e cieco!
Sol Morte, lieta di sí chiara palma,
trionfi intanto e goda, e godan seco
la Terra, c’ha le membra, e ’l Ciel, c’ha l’alma.
iv
Per la morte di una gentildonna.
Tasso, s’è ver ch’altrui fu dato in sorte
mover Stige a pietá, ch’albergo è d’ira,
e viva al suon de la dolente lira
trar donna fuor de le tartaree porte;
ben potrai tu, mentre ch’al ciel per forte
destín costei, che ’l mondo orbo sospira,
sen vola, il ciel, che piú benigno gira,
piegar cantando, e lei ritôrre a Morte.
Sí vedrem per dolcezza al dolce canto
rompersi il marmo, e render di sotterra
a la bell’alma il suo leggiadro manto.
Io, cui manca lo stil, quel sasso santo,
ov’Amor del suo foco il cener serra,
potrò pur forse intenerir col pianto.